Angel Hearth, Ascensore per l'Inferno (1987): Angel Heart è una evidente dimostrazione della versatilità di Alan Parker dietro la macchina da presa. Un oggetto quasi estraneo, difficilmente catalogabile in un solo genere; un pò di horror, molto thriller, anche estremamente simbolico. Tutto si svolge all'interno dell'indagine di Favorite, lunga e misteriosa fino alla fine, ma l'atmosfera cupa viene ripagata da omicidi e sequenze visionarie di grande impressione. Migliora ancora di più nel finale a sorpresa, una giusta conclusione che chiude una sceneggiatura che, pur tenendo esposte le sue carte sin dall'inizio (Lucifero, Angel, chiese e riti vodoo...) riesce a calare un ottimo asso nell'esplicativo finale, amaro e cinico. Il duo Rourke -          De Niro è esplosivo. Se quest'ultimo in versione luciferina è incredibilmente inquietante e misurato, ebbene anche un Rourke, inizialmente sornione e spensierato, ma via via più disperato, dimostra di essere un attore di altissimo livello.
Profondo Rosso (1975): Considerato il "cult" per eccellenza dell'horror italiano, "Profondo Rosso" uscì nelle sale nel 1975, dopo il successo dei tre precedenti film di Argento ("L'uccello dalle piume di cristallo", "Il gatto a nove code" e "Quattro mosche di velluto grigio") che però erano "gialli" in senso più letterale. In questo film, invece, assistiamo a delle vere e proprie esplosioni di violenza allo stato puro tra coltellate, teste fracassate e schizzi di sangue in abbondanza, mentre una mobilissima macchina da presa inquadra di volta in volta i dettagli più macabri oppure si sofferma su elementi che possano aiutare a capire il senso della vicenda. Argento ama a volte soffermarsi su oggetti banalmente "horror" (bambole trafitte da spilloni, quadri dal soggetto inquietante, coltelli) ma, nonostante questo, riesce decisamente a tenere viva l'attenzione, mescolando sapientemente trovate a volte geniali (il vapore sullo specchio nella scena dell'omicidio di Amanda, l'assassino che entra in casa di Marc mentre questi suona il piano... adrenalina pura!!!), riprese da angoli diversi dello stesso soggetto e soprattutto la musica ossessiva dei Goblin che riesce a dare "corpo" all'orrore del quale Argento mostra il volto.
Dracula di Abraham "Bram" Stoker (1992): Non è propriamente un film horror. Coppola sfuma il tutto con un'atmosfera spiccatamente romantica, delineando accuratamente un amore che prosegue oltre i vincoli terreni. La ricerca incessante di Dracula per la sua Elisabetta, scavalca secoli e distanze, un amore più forte della morte. Nella parte conclusiva della pellicola Dracula torna nei Carpazi dove lo attende la sua Elisabetta (Mina). Nella stessa cappella dove il cavaliere aveva trafitto il Crocefisso, Elisabetta (Mina) pone fine alla sua vita, liberandolo dalla maledizione. Traspare una luce celestiale dal suo volto mentre, per liberare l'anima dell'amato, ne recide il capo. Il finale vede gli occhi di Mina volgersi alla volta della cappella dove sono raffigurati lei ed il suo sposo.
Il Silenzio degli Innocenti (1991): Questo film si regge soprattutto sulla validità dell'idea di base, mutuata dal romanzo di Thomas Harris e trasformata in un'ottima sceneggiatura da Ted Tally, e sull'incredibile bravura dei suoi due intepreti. Certo, la regia di Demme sottolinea sapientemente i momenti di maggiore coinvolgimento emotivo, e il suo sguardo ci fa penetrare a fondo nell'universo in cui si muovono Lecter e Clarice, rendendocelo del tutto credibile; ma a restare impresse nella memoria dello spettatore sono soprattutto le splendide sequenze dei dialoghi tra i due protagonisti, l'incredibile climax emotivo che vi si respira, la magnetica presa che esercitano, merito soprattutto di due prove di recitazione straordinarie, tali da dar vita a "duetti" recitativi di altissimo livello. Uno dei rari casi, quindi, in un thriller, in cui la regia è di fatto assoggettata al dipanarsi della sceneggiatura, oltre che alla debordante bravura degli attori.
Il Sesto Senso (1999): assolutamente encommiabile risulta essere la costruzione di questo film, in cui il fatto che psichiatra infantile Malcolm Crowe interagisca sempre e solo col bambino viene nascosto abilmente con scelte di montaggio azzeccatissime. Questo è uno di quei rari casi in cui si debba vedere il film fino in fondo per poterlo valutare, ed in cui gli sceneggiatori siano riusciti davvero a rinnovare con intelligenza una storia già vista. Grandi meriti vanno anche alla regia, che costruisce lentamente la tensione, facendo entrare lo spettatore nell'inquietante mondo di Cole in punta di piedi piuttosto che trascinarlo per i capelli come fanno buona parte dei film horror contemporanei: se infatti la pellicola può risultare in certi momenti piuttosto lenta, è funzionale alla ricerca dell'angoscia pura piuttosto che dello spaventaccio rozzo e brutale. Infine, una menzione va agli interpreti, tutti straordinari ed in parte, a cominciare dal bambino (davvero espressivo ed inquietante) e finendo con Bruce Willis, che offre finalmente un'ottima interpretazione su tutti i piani.
La Nona Porta (1999): il vero protagonista di tutta la pellicola è un libro, ben definito nel suo aspetto esteriore quanto nel suo interagire con i personaggi. È un manuale satanico, e guida chi lo legge ad invocare il Diavolo per porsi al suo servizio. La pellicola è un'inquietante opera che parla di esoterismo e stregoneria, narrato quasi tutto in prima persona da Corso (Johnny Depp), che ci farà da tramite tra il mistero di cui è spettatore e le nostre emozioni.
Shining (1980): come il regista (Stanley Kubrick) ci ha abituato già con altri capolavori, ad esempio Arancia Meccanica, la pellicola rappresenta un ambiente mentale. Ci troviamo di fronte a tematiche importanti: l’uomo come animale sociale che, in quanto tale, necessita di vivere con i propri simili; la schizofrenia come conseguenza della forzata solitudine e la gravità della patologia; l’influenza che l’ambiente esercita sulla mente umana, la riflessione sulla malvagità umana, innata secondo la visione di Kubrick. Ruolo fondamentale è quello del bambino: man mano che la narrazione prosegue, il bambino assume la razionalità che il padre seguita invece a perdere. Egli è colui che, nel cammino interiore, rappresentato dal labirinto finale, riesce a tornare sulle proprie tracce, a non perdersi e quindi a trovare la via della salvezza. Fra padre è figlio vi è una competizione tipica del complesso d’Edipo freudiano: infatti entrambi amano la stessa donna e sono legati da un particolare sesto senso, la capacità di vedere oltre.
Memento (2000): Memento è un film sull'ossessione e sulla devianza, puzzle scomposto e spesso impenetrabile come una memoria senza appigli, in caduta libera sulla scoscesa e friabile collina della fallibilità umana. L'originalità del film non è tanto nella storia, che si centra su un personaggio problematico, un emarginato dalla malattia, ma nel modo di narrarla. Il vero fiore all'occhiello di questa pellicola è il come, il montaggio, la scelta di dividere il film in blocchi corrispondenti a tempi narrativi diversi - il bianco e nero per il monologo interiore, il colore per la storia nell'intrecciarsi di personaggi ricorrenti - e la spiazzante idea di mostrarci la storia dalla sua fine e di procede a ritroso, in senso inverso, verso il principio di tutto. Memento ci rende partecipi della fallibilità umana, della pochezza della nostra memoria e del valore assoluto, prezioso ed inestimabile, dei ricordi. Chi non ha ricordi è semplicemente destinato a perseverare nella follia.
Mulholland Drive (2001): più Lynchiano di così questo film proprio non poteva essere. In bilico costante tra realtà e sogno, la storia racconta un sogno hollywoodiano che si trasforma in un incubo. Diviso in una prima parte in cui si sviluppa una lineare storia dalle atmosfere tipiche dei racconti noir degli anni '40, e in una seconda in cui tutte le carte si mescolano improvvisamente con un "risveglio" che lascia vagare i protagonisti tra i più disparati simboli onirici, il film di Lynch è una maglia intricatissima, un percorso tortuoso in cui si è incapaci di trovarne l'inizio e la fine, in un passaggio continuo di universi reali e immaginari.
Secret Window (2004): con il racconto dal titolo "Finestra segreta, giardino segreto" - da cui il film è tratto - Stephen King torna ad affrontare la materia concernente il rapporto tra lo scrittore e le sue opere ed il loro interagire con la realtà che li circonda - tematica, peraltro, già ben sviluppata nel bellissimo "Misery non deve morire". La finestra segreta, che dà anche il titolo al film di David Koepp, è infatti una voragine che si apre nella mente di Mort Rainey (Johnny Deep) scrittore di discreto successo che un giorno viene minacciato da Shooter (Jonh Turturro) che lo accusa del plagio di un suo romanzo inedito. Ad aumentare la voragine psichica dello scrittore contribuisce la rottura del matrimonio con l'amata moglie Amy scoperta da Mort in un letto di una stanza di un motel assieme al suo amante Ted. Pericolosi segnali dell'instabilità del nostro eroe sono anche le frequenti allucinazioni oniriche e la circostanza che si ciba solo di patatine fritte ed altre simili amenità alimentari. La voragine diventa poi un vero e proprio buco nero, un abisso di schizofrenia e doppiezza quando le insistenze dell'ex moglie e del suo amante per ottenere il divorzio diventano sempre più assidue. Un tragitto senza ritorno, quello intrapreso da Mort, il cui capolinea non potrà che essere tragico e funesto.
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