La relatività spiegata da Piero Angela con i disegni di Bruno Bozzetto
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (1)
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (2)
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (3)
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (4)
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (5)
Piergiorgio Odifreddi - Einstein e la relatività (6)
LA RELATIVITA' GENERALE

Einstein si rese presto conto che, tra le varie conseguenze della relatività ristretta ve ne era una particolarmente grave: l’esistenza di una barriera data dalla velocità della luce era incompatibile con la teoria della gravitazione universale di Netwon, ove si enunciava che tutti i corpi avvertono istantaneamente un mutamento nella forza gravitazionale.

Secondo l’autorevole teoria newtoniana, la forza gravitazionale esercitata da un corpo su un altro sarebbe dipesa solo dalle masse e dalla distanza, e non avrebbe avuto nulla a che fare con il tempo durante il quale i due oggetti sono stati in presenza l'uno dell'altro. Questo significa che, sempre secondo Newton, qualora cambiasse qualcosa nelle masse o nella distanza, i corpi sentirebbero istantaneamente un mutamento della forza gravitazionale. Ad esempio, se il Sole esplodesse improvvisamente, la Terra - situata a circa 150 milioni di chilometri - sarebbe immediatamente scaraventata via dalla sua orbita.

Questo era incompatibile con la relatività ristretta, che finiva con il sostenere invece che nessun tipo di informazione può viaggiare più veloce della luce: la contemporaneità newtoniana rappresentava un’evidente violazione di questo principio. Agli albori del Novecento, Einstein si rese pertanto conto che la sua teoria non si accordava con la riverita e sperimentalmente solida gravitazione newtoniana. Sicuro comunque della verità delle sue scoperte, si mise alla ricerca di una nuova teoria della gravità che fosse compatibile con la relatività ristretta. Questo lo portò ad inventare la
relatività generale, che portò ad altri straordinari cambiamenti nel modo di intendere spazio e tempo.

La teoria della relatività generale venne pubblicata nel
1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo; questa perturbazione inoltre, come già Einstein aveva intuito, non si propaga istantaneamente, ma “viaggia” alla velocità della luce. Quindi, nel caso dell’esplosione del sole esaminato in precedenza, la terra “avvertirà” la mancanza del sole, solo a partire dal momento stesso in cui “vedrà” la sua distruzione, ovvero 8 minuti dopo.

Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì diverse spiegazioni circa alcune variazioni del moto orbitale dei pianeti altrimenti incomprensibili, ed in particolare previde che
i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata, quale, ad esempio, il sole. La conferma osservativa di quest'ultimo fenomeno, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, fu di fatto un evento di enorme rilevanza.
IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA

Ma quale fu l’idea “vincente” che permise ad Einstein di “imbrigliare” una forza così misteriosa come la forza gravitazionale ? Ricordiamo che Newton stesso, che aveva scoperto le equazioni che descrivono accuratamente gli effetti di questa forza, non era mai riuscito, così come nessun’altro dopo di lui, a spiegarne il suo effettivo funzionamento.
Alla base di tutto ci fu una felice intuizione che Einstein ebbe nel 1907 e che fu da lui stesso battezzata sotto la definizione di principio di equivalenza. In base a questo principio, un  campo gravitazionale si può considerare equivalente ad una accelerazione costante che si manifesti in un sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico.
In altre parole, una persona che si trovi su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non può, per principio, distinguere se la forza che sta avvertendo è dovuta alla gravitazione o all'accelerazione costante dell'ascensore.

Si trattava certamente di un’intuizione profonda, ma perchè Einstein ne fu realmente così entusiasta ? Perchè in effetti la forza gravitazionale era sempre stata un’entità misteriosa e sfuggente, mentre il moto accelerato era un concetto concreto e tangibile, nonché ben formulato e codificato. L’aver trovato un legame tra queste due realtà permise ad Einstein di usare ciò che si sapeva dei moti accelerati per penetrare all’interno dei misteri della gravità.
La svolta successiva avvenne nel 1912, quando Einstein si concentrò su un tipo particolare di moto accelerato, il moto circolare uniforme, nel quale il valore della velocità non cambia, mentre cambia continuamente la direzione del moto. Con riferimento alla figura qui a fianco, anche questo tipo di moto, come tutti i moti accelerati, crea una forza che presenta effetti del tutto simili ad una forza gravitazionale, che “schiaccia” le persone sulla parete esterna. Per un osservatore stazionario è facile concludere, con un po’ di geometria elementare, che il rapporto fra raggio e circonferenza è pari a 2p.
Ma come stanno le cose per chi “vive” all’interno del cilindro ? Il righello di Carlo, intento a misurare la Circonferenza, si contrarrà nella direzione del moto, mentre quello di Roberto,  intento a misurare il Raggio, che è disposto perpendicolarmente alla direzione del moto, non si contrarrà; il risultato sarà quindi un numero maggiore di 2p.
Come è possibile che al mondo esista un cerchio che viola una legge geometrica fondamentale, già nota agli antichi greci ? Per Einstein era chiaro: con riferimento alla figura qui a fianco, il rapporto 2p è valido solo per i cerchi disegnati su una superficie piana (a). Se disegnamo un cerchio su una superficie curva otteniamo risultati in effetti “diversi”, sia minori (b) che maggiori (c) di 2p.
(a)               (b)             (c)
Dall’esperimento mentale precedente abbiamo concluso che un moto accelato, e quindi, per il “principio di equivalenza”, anche un campo gravitazionale, fanno “incurvare” lo spazio attorno a loro.

In realtà non è solo lo spazio a “curvarsi”, ma anche il tempo.

Tornando all’esempio precedente del “rotore”, chiediamo a Carlo di stare fermo con la schiena appoggiata alla parete, mentre Roberto partirà dal centro del cilindro e cercherà di raggiungerlo lentamente, confrontando di volta in volta il suo orologio con quello dell’amico. Il risultato possiamo facilmente immaginarlo: non ci sarà mai accordo fra gli orologi, poichè i due amici si sposteranno sempre a velocità diverse fra loro, dato che all’interno del rotore la velocità aumenta con la distanza dal centro. Applicando la relatività ristretta, sappiamo che la velocità rallenta il tempo, pertanto
l’orologio di Carlo si troverà sempre indietro rispetto a quello di Roberto. Inoltre Roberto scoprirà che, man mano che si avvicina all’amico, il suo orologio ritarderà sempre di più rispetto a quello posizionato al centro del rotore. A questo punto possiamo tranquillamente concludere che, per le persone che vivono all’interno del rotore, il trascorrere del tempo dipende dalla loro esatta posizione - in questo caso dalla distanza dal centro. Possiamo quindi enunciare che anche il tempo di fatto si “incurva”, quando il suo trascorrere varia da posizione a posizione all’interno di una certa regione spaziale.

Tutte queste idee messe assieme fecero compiere ad Einstein il passo finale. Dopo aver mostrato che gravità e moto accelerato sono indistinguibili, almeno negli effetti, era finalmente in grado di enunciare che
la gravità è determinata dalla curvatura dello spazio e del tempo.
Veniamo alle conclusioni. In assenza di materia ed energia, lo spazio per Einstein è piatto. La presenza di un oggetto massiccio, come ad esempio il sole, “deforma” la struttura dello spazio circostante. Questo “incurvamento” produce un effetto sugli oggetti che si trovano nelle vicinanze del corpo, che tenderanno ad essere deviati verso la deformazione.
Einstein riuscì in definitiva a spiegare come funziona la gravità, integrando e correggendo gli enunciati di Newton.

Einstein riuscì ad identificare l’agente “misterioso” che scatena la gravità, e che Newton aveva rinunciato a ricercare, ovvero la trama stessa del cosmo, che viene “deformato” dalla materia e dall’energia in esso presente.

Einstein dimostrò inoltre, aggiungendo un’enunciazione che Newton non aveva certo potuto immaginare, che la gravità distorce il tempo, “rallentandolo” tanto più quanto più è intenso il campo gravitazionale.

Einstein dimostrò infine che, a differenza di quanto supposto da Newton, la forza gravitazionale non si propaga istantaneamente. Nel caso, ad esempio, dell’esplosione del sole, la “distorsione” si propagherà esattamente alla velocità della luce, pertanto la terra “avvertirà” la mancanza del suo astro solo a partire dal momento stesso in cui “vedrà” la sua distruzione, ovvero 8 minuti dopo il “catastrofico” evento.
Adesso puoi proseguire con le prove della veridicità della relatività oppure tornare in cima alla Pagina per operare altre scelte.
Einstein's Theory of Relativity made Easy
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Piergiorgio Odifreddi legge Einstein
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